Benefici per tutti dallo ius scholae

In occasione del ritorno al centro del dibattito politico di una legge sulla cittadinanza legata al completamento di almeno un ciclo scolastico, riproponiamo questo contributo sui benefici per gli stranieri e per la collettività di una tale misura.

La Commissione Affari Costituzionali della Camera ha dato il via libera a una proposta di legge che garantirebbe la cittadinanza ai giovani stranieri nati o cresciuti in Italia che abbiano completato almeno un ciclo scolastico nel paese. In un altro contributo su questo sito, viene raccontato come dovrebbe funzionare questa misura e chi sono i giovani e le giovani che potrebbero avere accesso alla cittadinanza con la nuova normativa. In questo articolo, mostriamo quanti sono i potenziali beneficiari e quali sono i vantaggi associati a politiche meno restrittive in merito all’acquisizione della cittadinanza, sia per gli stranieri che spesso vedono questo diritto negato, sia per la collettività in generale.

In quanti ne potrebbero beneficiare?

Anche se non è agevole determinare in modo puntuale quanti possano essere ad oggi i potenziali beneficiari immediati dello ius scholae, se ne può stimare un ordine di grandezza in prima approssimazione.

In base alle stime appena pubblicate dall’Istat, al 1° gennaio 2022 il numero di minori stranieri nel nostro Paese supera di poco il milione, pari all’11,5% della popolazione residente al di sotto dei 18 anni. Secondo i dati dell’ultimo report del Ministero dell’Istruzione, e relativi all’anno scolastico 2019/2020, gli alunni con cittadinanza straniera nelle scuole di ogni ordine e grado (dall’infanzia alla secondaria di II grado) sono 876.801. Corrispondono al 10,3% del totale della popolazione scolastica e per quasi due terzi (573.845) sono nati in Italia (seconde generazioni). Questi ultimi rappresentano oltre l’80 per cento degli alunni con cittadinanza straniera nella scuola dell’infanzia, il 75 per cento circa nella scuola primaria, il 62 per cento nella secondaria di I grado e poco più del 40 per cento nella secondaria di II grado.

Un tentativo di conteggiare in via approssimativa la platea di potenziali beneficiari immediati della riforma deve tener conto del requisito relativo allo svolgimento di un ciclo scolastico di almeno 5 anni nel nostro paese. Escludendo quindi gli alunni delle scuole primarie, nonché quelli già maggiorenni che potrebbero fare comunque richiesta di cittadinanza, e basandosi sui dati disponibili – come detto riferiti al 2019/2020 – i minori stranieri iscritti alla scuola secondaria di I e II grado ammontano a quasi 330.000.

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Tale cifra potrebbe essere considerata un limite superiore, che tende a sovrastimare il numero dei potenziali beneficiari immediati in quanto include anche chi è arrivato da poco in Italia, o comunque non ha alle spalle un ciclo di cinque anni nel nostro sistema scolastico. Nel 2019/2020 gli stranieri entrati per la prima volta nel sistema scolastico italiano, ad esempio, ammontano a circa 9.600 nella scuola secondaria di I grado, e a circa 8.200 in quella di II grado.

Dai dati ministeriali sappiamo però anche che mediamente oltre la metà degli alunni stranieri della scuola secondaria è nata in Italia, aspetto che consente di stimare in 170.000 un ragionevole limite inferiore del numero dei beneficiari.

Si può ritenere tuttavia che il numero effettivo sia più vicino al limite superiore che a quello inferiore. L’indagine campionaria sull’integrazione delle seconde generazioni svolta dall’Istat nel 2014-2015 mostra, infatti, come tre quarti degli alunni stranieri nati all’estero della scuola secondaria siano entrati nel sistema scolastico italiano già dalla scuola dell’infanzia, o dalla primaria.

Questi numeri vanno comunque letti con estrema cautela. I dati su cui ci basiamo, infatti, si riferiscono a due anni scolastici precedenti e, se da un lato il numero di alunni stranieri è in costante crescita (in media +2% l’anno nell’ultimo quinquennio), per cui le coorti che oggi popolano le scuole secondarie di I e II grado potrebbero essersi ulteriormente allargate, dall’altro lato l’ultimo biennio di pandemia potrebbe aver avuto conseguenze significative sulla frequenza scolastica, specie per ragazzi provenienti da famiglie meno abbienti. Nel 2021, l’incidenza della povertà assoluta tra i nuclei familiari composti da soli stranieri si è attestata al 30,6 per cento, contro il 5,7 per cento tra le famiglie di soli italiani.

Quali gli effetti?

Il tema dell’acquisizione della cittadinanza ha implicazioni molto rilevanti, non solo come diritto per chi lo riceve, ma anche per l’intera società. La letteratura economica ha spesso messo in luce i benefici significativi dell’acquisizione della cittadinanza, che agisce da catalizzatore per l’integrazione socio-economica dei migranti, focalizzandosi soprattutto sulla partecipazione degli stranieri già adulti al mercato del lavoro. Vi sono anche ricerche che si sono concentrate specificamente sull’impatto delle naturalizzazioni dei più giovani. Per esempio, in Germania la riforma che nel 2001 ha introdotto lo ius soli (ossia la concessione della cittadinanza per il solo fatto di essere nati in territorio tedesco) al posto del precedente ius sanguinis ha offerto l’opportunità di un interessante caso di studio. I risultati sul caso tedesco, così come per altri paesi europei, mostrano che l’acquisizione della cittadinanza esercita un effetto positivo sulle performances scolastiche dei minori stranieri, riduce il loro tasso di abbandono e accresce le probabilità di intraprendere percorsi di istruzione propedeutici alla frequenza universitaria.

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Nella proposta di riforma della legge 91/1992 non vi è, come alcuni invece sostengono, alcun riferimento allo ius soli, sul quale sembra ancora difficile far convergere un vasto consenso politico. Si cerca semplicemente di riconoscere agli stranieri che sono cresciuti nel sistema scolastico italiano la possibilità di diventare cittadini e parte attiva della società in cui vivono e di cui non vogliono e non possono essere considerati semplici ospiti. E, attraverso la naturalizzazione, si tratta anche di favorire quel processo di piena integrazione, spesso del tutto o in parte negata ai loro genitori. La riforma sancirebbe, inoltre, il ruolo fondamentale e forse troppo sottovalutato che la scuola quotidianamente svolge in questo processo, non senza difficoltà – come la pandemia ha purtroppo messo in luce – ma cercando comunque di garantire quell’uguaglianza delle opportunità affermata dalla Costituzione e richiamata dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, che sollecita i governi di tutto il mondo a mantenere l’impegno di costruire una società realmente inclusiva.

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