domande frequenti in tema di condominio

1)Lastrico solare, quando risulta di proprietà del singolo condomino?
La norma di riferimento risulta quella di cui all’art. 1117 c.c., dettata in materia di parti comuni dell’edificio. Il lastrico solare rientra a pieno titolo nella proprietà comune dei singoli proprietari delle unità immobiliari. Pertanto, chi pretende di essere proprietario esclusivo del lastrico solare deve “vincere” la presunzione di condominialità e dimostrare il titolo (ad esempio, l’atto di acquisto) dal quale discenderebbe la sua proprietà esclusiva. Per stabilire la condominialità di un bene, si pensi a quello destinato ad alloggio del portiere, si deve accertare se, all’atto della costituzione del condominio, rinveniente dalla alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario unico proprietario o costruttore del fabbricato, vi sia stata una siffatta esplicita destinazione, che deve essere espressa o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprietà comune dei condomini su di esso. Peraltro, per vincere, in base al titolo, la presunzione legale di proprietà comune ex art. 1117, n. 2, c.c., non sono neppure sufficienti il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore/costruttore, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, considerato che tale effetto viene riconosciuto solo al contratto di compravendita.

2) Impianto di condizionamento sul lastrico solare? Nessuna rimozione se manca la prova della lesione

L’apposizione ad opera di un condomino dell’unità esterna e di altre componenti d’un impianto di condizionamento dell’aria sul lastrico solare condominiale non integra gli estremi dello spoglio nel compossesso e di conseguenza non può esserne ordinata la rimozione se manca la prova della lesione del pari diritto all’uso da parte degli altri comproprietari. La Cassazione, con la sentenza n. 10968 del 19 maggio 2014, ha chiarito tale questione in relazione ad un caso molto frequente: un condomino provvede ad installare un condizionatore e appone parte dell’impianto (unità esterni e vari cavi) sul lastrico comune; da qui l’azione possessoria della compagine perché, a suo modo di vedere, la condotta del condomino rappresentava una chiara ipotesi di spoglio nel possesso. E’ notorio che ai sensi dell’art. 1102, primo comma, c.c. tutti i condomini possono fare uso delle cose comuni purché ciò non leda il pari diritto degli altri comproprietari e comunque non alteri destinazione e decoro dello stabile e non sia lesivo della sicurezza e stabilità dell’edificio. In ogni caso il regolamento condominiale può porre dei limiti che possono divenire veri e propri divieti nel caso di regolamento condominiale di natura contrattuale. La Corte ha quindi ribadito che non commette spoglio chi usa la cosa comune a proprio vantaggio, nel caso di specie apponendo un impianto di condizionamento, se non v’è prova o comunque non viene valutata ricorrente l’impossibilità d’uso da parte degli altri condomini.

3) Sostituzione della canna fumaria comune: quando si parla d’innovazione?

La sostituzione di alcune vecchie (ed inutilizzate) canne fumarie incorporate nell’edificio, con altre nuove – poste sulla parete esterna in posizione diversa – rappresenta un’innovazione che può essere deliberata dall’assemblea (o concordata tra i condomini) senza necessità che vi sia un contratto scritto ai sensi dell’art. 1350 c.c. Questa, in breve sintesi, la decisione resa alla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4736 del 10 marzo 2015. La pronuncia citata merita attenzione in quanto ribadisce la nozione d’innovazione – comunemente accolta – e chiarisce perché la sostituzione di beni comuni non debba essere considerata alla stregua di un atto modificativo o estintivo di un diritto reale, come tale necessitante del consenso scritto di tutti gli interessati. Si legge in sentenza che “per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata dall’art. 1120, secondo comma, cc, deve intendersi, non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma, solamente, quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto.

4) Messa a norma delle canne fumarie e spese legali. Come vengono ripartite le spese?

La collocazione delle canne fumarie all’interno nel complesso condominiale non le rende di proprietà comune. Non si può deliberare su lavori riferiti alla proprietà esclusiva. È annullabile la delibera con la quale l’assemblea abbia ripartito le spese, legittimamente approvate nel loro ammontare, in parti uguali tra tutti i condomini e non in base alle tabelle millesimali. È invece radicalmente nulla (e dunque impugnabile in ogni tempo) la delibera che ponga le spese legali anche a carico dei condomini che abbiano ritualmente manifestato il proprio dissenso alla lite. È quanto affermato dal Tribunale di Perugia con la sentenza n. 231 del 31 gennaio 2014. Nella fattispecie, la delibera impugnata è stata annullata anche sotto il profilo dell’eccesso di potere, atteso che la collocazione delle canne fumarie all’interno del complesso condominiale non le rende automaticamente di proprietà comune. Da ciò discende che l’assemblea non può deliberare su lavori riferiti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini e, segnatamente, sulla ristrutturazione delle canne fumarie dei singoli appartamenti. Le spese vanno ripartite in misura proporzionale ai millesimi di proprietà, salvo diversa convenzione. Infatti, se la canna fumaria è posta al servizio di un solo condomino o di un gruppo di condomini, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. non opera e la canna fumaria deve pertanto ritenersi di proprietà esclusiva, salva eventuale prova contraria.

5) Cane che abbaia in condominio: come si fornisce la prova?

L’effettiva idoneità dei latrati del cane ad arrecare pregiudizio alle occupazioni o al riposo delle persone non deve essere accertata necessariamente in base a perizie o specifiche indagini tecniche, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori idonei a dimostrare la sussistenza di un oggettivo disturbo alla quiete pubblica. Secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità per la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) può essere accertata anche sulla base delle dichiarazioni rese dai testimoni, non essendovi l’obbligo per il giudice di disporre una perizia tecnica per stabilire se i rumori hanno oltrepassato o meno i limiti della normale tollerabilità. Gli Ermellini ricordano anzitutto che l’art. 659 c.p. configura un’ipotesi direato di pericolo presunto per cui l’affermazione di responsabilità non implica la prova dell’effettivo disturbo di più persone “essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato”.

6) È vietato portare i cani in ascensore?

Il regolamento condominiale può contenere un divieto del genere? Si rammenta che il regolamento assembleare può contenere norme “circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione“, mentre quello contrattuale può limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni e di proprietà esclusiva, purché non siano derogate le disposizioni indicate nell’art. 1138, quarto comma, c.c.  Di conseguenza, sicuramente, il regolamento assembleare non può contenere alcun divieto di portare cani in ascensore. Dato che tale statuto può disciplinare l’uso delle cose comuni, potrebbe contenere delle norme di condotta (es. guinzaglio in ascensore) per evitare problemi nel caso di uso contemporaneo da parte di più persone. Se il regolamento assembleare dovesse contenere divieti di portare cani in ascensore, quella norma dovrebbe essere considerata nulla e come tale impugnabile in ogni momento con azione davanti all’Autorità Giudiziaria finalizzata all’accertamento di tale nullità.

7) Il servo-scala si può installare anche senza il consenso di tutti i condòmini?

Il condòmino disabile può installare l’impianto di servo-scala a sue spese, anche se gli altri condòmini non sono d’accordo. In materia di barriere architettoniche, l’art. 2, comma 2, della Legge n. 13/1989 prevede una forma di autotutela che consente al portatore di handicap di superare il rifiuto del Condominio e di installare a sua spese i c.d. impianti provvisori, del tipo servo-scala o altre strutture mobili, ovvero di modificare l’ampiezza delle porte d’accesso. Ai fini dell’installazione del dispositivo antibarriera è necessaria la presenza di un soggetto residente portatore di handicap, anche in funzione della erogazione di contributi pubblici. Tuttavia, se l’installazione in autotutela è strettamente legata alla persona affetta da minorazione, non altrettanto può dirsi dell’uso del dispositivo, che può servire contemporaneamente altri soggetti che vivono nel medesimo condominio. Infatti, la funzione antibarriera del dispositivo – realizzata con il contributo pubblico – non viene meno con la persona nel cui interesse il dispositivo stesso è stato installato.

8) Crolla l’edificio: a chi spetta il risarcimento del danno?

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto fine ad un contrasto giurisprudenziale sorto nel corso degli anni stabilendo che il diritto al risarcimento per il danno ad un immobile spetta al proprietario del bene nel momento in cui si è verificato l’evento dannoso, essendo tale diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà. La Corte di Cassazione pronunciandosi su tale motivo ha stabilito un importante principio di diritto puntualizzando che l’azione volta ad ottenere il risarcimento dei danni subito da un immobile non può considerarsi alla stregua di un diritto accessorio al diritto di proprietà e pertanto non può essere trasferito con l’ atto di vendita. L’unico soggetto al quale deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno è colui che ha effettivamente subito il pregiudizio, tale soggetto, tuttavia, ha la possibilità di cedere il diritto soggettivo al risarcimento del danno ricorrendo ad un autonomo atto di cessione del credito. In caso di trasferimento della proprietà di un immobile il diritto al risarcimento del danno, sopportato del venditore prima del trasferimento dell’immobile, non può essere considerato un diritto accessorio al diritto di proprietà di conseguenza lo stesso può essere trasferito solo ricorrendo ad uno specifico atto di cessione del credito.

9) Si può parcheggiare la seconda auto davanti ai box?

È legittima la delibera, assunta con il voto favorevole della maggioranza dei condomini rappresentanti la metà del valore dell’edifico, che autorizza i condòmini a parcheggiare la seconda autovettura in prossimità del proprio garage purchè ciò non determini un pericoloso restringimento dell’area comune consentendo comunque anche il transito agevole di eventuali mezzi di soccorso. In particolare tale decisione non crea alcuna disparità di trattamento tra i condomini, in quanto autorizza tutti i condomini a parcheggiare l’eventuale seconda vettura dinanzi al proprio garage e quindi può essere adottata con le maggioranze previste dall’art. 1136 del codice civile (voto favorevole dei condomini che rappresentano la metà del valore dell’edificio). Essa non determina alcuna modifica alla destinazione d’uso del bene comune nè lede i diritti acquisiti da singoli condomini.

10) Serve l’unanimità per installare telecamere nell’autorimessa condominiale? C’è eventuale violazione della privacy?

Bastano la maggioranza e la metà dei millesimi per installare la videosorveglianza nel garage. Inoltre non c’è alcuna interferenza con la privacy in quanto le aree comuni non rientrano nella privata dimora. A tal proposito si chiarisce che non viola la privacy l’installazione di videocamere di sorveglianza che riprendono l’autorimessa comune o i posti auto privati di pubblica visibilità, se finalizzata ad evitare la commissione di reati. Non v’è alcuna lesione della riservatezza, in quanto le aree comuni condominiali non rientrano nei concetti di “domicilio”, di “privata dimora” e di “appartenenza di essi” ai quali si riferisce l’art. 614 c.p., nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza. Invero, le aree comuni sono destinate all’uso di un numero indeterminato di soggetti; di conseguenza, la tutela penalistica non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese, non trattandosi di private dimore.

 

 

 

 

 

 

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