Con sentenza n. 21479/2018 la Suprema Corte si è pronunciata in tema di restituzioni di elargizioni effettuate tra conviventi more uxorio. Il caso concreto riguardava un uomo che aveva ristrutturato e arredato la casa di proprietà esclusiva della compagna, abitazione nella quale seppur per breve periodo i due avevano convissuto.
La Suprema Corte ha dato ragione all’uomo ritenendo che all’epoca dei fatti ed in relazione al suo status economico aveva elargito considerevoli somme (circa 100.000.000 delle vecchie lire) determinando un ragguardevole ed ingiustificato arricchimento per la signora.
Quest’ultima aveva in seguito venduto l’immobile di sua proprietà ricavandone un notevole vantaggio economico.
Sostanzialmente i giudici hanno valutato la sproporzione della dazione effettuata sia in relazione alle condizioni economiche e sociali dell’uomo che alla breve durata della convivenza. Hanno così respinto il ricorso della signora che aveva impugnato la sentenza della Corte d’appello che la condannava a restituire all’ex circa Euro 50.000,00, importo corrispondente a quanto speso per ristrutturare e arredare la casa.
Oggettivamente la signora si era arricchita traendo profitto da quanto elargito dall’ex compagno.
Le elargizioni tra conviventi rientrano nella categoria delle obbligazioni naturali in quanto necessarie alla condivisioni degli oneri della vita quotidiana nel contesto di una vita in comune. Tuttavia nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la vita del nucleo non fosse connotata da particolare agiatezza e benessere. Il mancato recupero degli importi cessata la convivenza ha determinato un ingiustificato impoverimento del solvens ed un ingiustificato arricchimento dell’accipiens che unica intestataria dell’immobile ne aveva fruito e disposto liberamente con notevole incremento patrimoniale. Le condizioni patrimoniali e sociali del nucleo non giustificavano un esborso così alto.
L’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito; b) l’unicità del fatto causativo dell’impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito (cfr. Cass., SS.UU., sent. 24772/2008).
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