Segnaliamo un’importante ordinanza della Cassazione civile, sez. III, ordinanza 21/08/2018 n° 20835 che ha stabilito la risarcibilità del danno parentale anche al di fuori dei cosiddetti legami di sangue.
La pronuncia si pone nel solco della giurisprudenza recente che riconosce rilevanza ai legami affettivi stabili al di là dei rapporti di sangue.
Il caso è abbastanza singolare. Una donna si rivolge ad una struttura ospedaliera per effettuare un esame del DNA sul proprio figlio avendo dubbi sulla identità del padre. Dopo alcuni anni si scopre che il test è errato e ciò comportata l’allontanamento del presunto padre e la perdita dei legami affettivi che il bimbo aveva stabilito con i parenti in linea paterna.
La donna attiva le procedure giudiziali. Il Tribunale in prima istanza liquida, in applicazione dell’art. 2059 c.c., in favore della madre e del figlio il danno all’integrità psicofisica subito da entrambi quantificandolo sulla scorta delle “Tabelle Milanesi” rigettando la richiesta di liquidazione del danno parentale per mancanza di prove certe sul legame affettivo. In grado di appello la donna ottiene un maggior risarcimento ma si vede rigettare nuovamente la richiesta di risarcimento del sul presupposto di assenza del rapporto di parentela.
In Cassazione la donna ritiene violate le norme sul risarcimento del danno, e fa rilevare l’errore in cui sarebbe occorsa la Corte d’appello nel negare la risarcibilità del danno da lesione parentale, poiché pur in assenza di legame di sangue, era già stato creato tra il bambino e padre (e i nonni paterni) un rapporto significativo.
La Suprema Corte accoglie il ricorso affermando che la lesione del rapporto di parentela debba essere riconosciuto a prescindere dai legami di sangue bastando che risulti compromesso un legame caratterizzato da stabilità, consuetudini di vita e abitudini comuni, che creano quel sentimento di protezione e sicurezza tipico del rapporto padre-figlio.
La giurisprudenza della Cassazione ha definito la perdita del legame parentale come “…vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. Civ. 9 maggio 2011 n. 10107).
Con la decisione odierna la Corte di Cassazione riconosce tale tipo di lesione anche di là dalle ipotesi di morte di un prossimo congiunto e anche in assenza di consanguineità tra i soggetti come autonoma voce risarcitoria.
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