Amministratore di condominio: quando commette appropriazione indebita?
Nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata la Corte di Cassazione ha ribadito con sentenza n. 19519 del 30 giugno 2020 che l’amministratore di Condominio commette appropriazione indebita non solo quando utilizza i conti di un condominio per far fronte alle esigenze di altri condomini da lui amministrati ma anche quando fa transitare le somme di competenza del condominio sui propri conti personali.
Il punto saliente della sentenza focalizza il fatto che il reato di appropriazione indebita sussiste anche se formalmente la gestione condominiale non presenta ammanchi. La Suprema Corte ha anche delineato il momento esatto in cui si considera avverata l’interversione del possesso necessaria ad integrare il delitto e anche ad individuare il termine da cui decorre la prescrizione del reato. L’appropriazione indebita si compie quando colui che è legittimato a possedere i beni altrui manifesti, espressamente o tacitamente, la volontà di farli propri.
La sentenza in esame ribadisce che nonostante l’amministratore nel caso concreto non abbia fatto registrare alcun ammanco nelle casse condominiali e quindi il Condominio non abbia subito pregiudizio economico, l’amministratore è comunque penalmente responsabile.
La Suprema Corte sottolinea che la confusione dei patrimoni integra di per sé il reato di appropriazione indebita poiché viene violato il vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento.
Il principio espresso dalla Corte di Cassazione è dunque il seguente: non evita la condanna l’amministratore se i saldi dei conti correnti dei singoli condomìni confluiscono su unico conto a lui intestato, anche quando la gestione risulta regolare; ciò che conta è la violazione del vincolo di destinazione impresso al momento del conferimento.
Il reato, inoltre, comincia a prescriversi soltanto con la cessazione della carica, momento nel quale la consumazione diviene definitiva.
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